top of page

LIVIDI                                                                  7/03/16

(sulle mani)

 

da: Narrativa

Colpevole.

La voce baritonale del giudice echeggia nell'aula.

Il condannato ringrazia e si alza. Quindi, viene scortato fuori.

Il tempo passato in cella subito dopo la sentenza è un illusione nel momento in cui guarda oltre il cappio sospeso i volti tremanti degli spettatori.

Il petto si alza e si abbassa, poi si calma.

Non capisce dove hanno intenzione di arrivare, non comprende lo scopo di quello spettacolo.

Forse si aspettano che si metta a ballare, battendo i piedi sul palchetto in legno.

Ma quei volti infelici non sembrano pretendere niente di comico.

Eppure attendono, e così fa il condannato.

Forse desiderano che lui pianga e che urli qualcosa di drammatico.

Ma lui non intende versare lacrime. E quando il boia gli si accosta e gli domanda le sue ultime parole, il condannato indugia.

Riflette febbrilmente sui dubbi di cui si interroga ma fra tutti non sa decidersi e quando ne afferra uno non sa come esprimerlo.

Dunque, scuote la testa una, due volte.

Gli spettatori sembrano delusi e lui si sente bruscamente in colpa, come un attore che dimentica la battuta di chiusura.

Poi, tra la folla una figura urla “Dategli quello che merita!” e lui osserva i volti degli spettatori in cerca di quella voce.

Gli è chiaro ora lo scopo dello spettacolo.

Nient'altro che un insegnamento di vita. Le persone ai piedi del palchetto non fanno parte di una platea qualunque, sono insegnanti, lì per impartirgli una lezione la cui morale enuncia “Se nuoci a qualcuno, paghi”.

Forse è per questo, avrebbe dovuto ringraziarli per il loro aiuto.

“Vi ringrazio per la vostra disponibilità nei miei confronti” avrebbero dovuto essere le sue ultime parole.

Eppure, quando il cappio gli carezza i capelli e si poggia sulle spalle, ancora una volta non comprende.

Si chiede se quella condanna non sia fine a se stessa.

Un insegnamento appreso nel momento in cui la corda circonda la trachea e perduto l'attimo successivo.

E ad un tratto tutto ciò gli appare futile.

Si ritrova protagonista di una messinscena priva di morale o di alcuna dottrina a cui aspirare.

E' un complotto. Ora i suoi mentori sono mutati in assassini e i loro sguardi infelici ora sono d'odio e di inedia.

E' una recita interpretata da ipocriti e lui ne è il martire. Immolato sul proscenio ligneo, non fa altro che chiedersi: “Chi è il vero colpevole? Io o loro?”.

Il cappio gli stringe il collo.

Aspettate! Ora ha qualcosa da dire!

Troppo tardi. Ai suoi piedi si apre una voragine che lo inghiottisce.

E mentre la folla torna a casa colma di gratuita giustizia, l'impiccato si dimena in cerca d'aria.

E' giunto il gran finale, nient'altro che una vana oscurità.

 

Lea Paiella

bottom of page