E' dall'inizio di quest'anno scolastico che aleggia sulle aule del Liceo Anco Marzio la misteriosa questione del “contributo volontario”.
Espressione alla maggior parte ignota fino a settembre duemilaquindici.
Prima di allora noi studenti, me medesima, portavamo a casa un modulo da far firmare a mamma o papà e lo riconsegnavamo alla dirigente di classe.
Una firma e la questione era conclusa.
Ma (perché c'è un ma) si fa settembre, la professoressa entra in classe e blatera qualcosa di poco interessante riguardo soldi, soldi e soldi. Ed ecco che poi emerge d'improvviso una frase “Non posso portarvi in gita se meno dei tre quarti della classe hanno pagato il contributo volontario”.
Ora la questione riguarda tutti.
In realtà, gita o non gita, il contributo volontario ci ha sempre riguardati.
Da quando la porta si è rotta, da quando i bagni si sono guastati, da quando mancano gli strumenti in palestra.
Ora i bagni funzionano (relativamente), la porta è stata riparata e un'altra si è rotta, gli strumenti in palestra scarseggiano ancora adesso.
Quello che si è potuto aggiustare è stato aggiustato. Grazie a cosa?
Il contributo volontario che molti di noi hanno ignorato fino ad oggi serve anche a questo.
Tuttavia, come accade spesso, quando il termosifone si è rotto e miracolosamente una settimana dopo ha ripreso a funzionare, nessuno ci ha fatto caso.
Quando però la professoressa ha dichiarato di non poter organizzare uscite, sono iniziate le lamentele.
Perché sì, è ingiusto che se io decido di non pagare alla scuola una quota facoltativa allora non mi è permesso partecipare a un viaggio d'istruzione.
Ma non è neppure giusto che il bagno guasto della scuola venga riparato con i soldi che io ho versato invece che con quelli che la Provincia è portata a dare.
Qui non si parla di giusto o ingiusto perché in una questione di questo genere il secondo prevale sul primo.
Come solito, purtroppo, si parla di soldi.
Un tempo, relativamente lontano, il contributo volontario veniva versato dalle famiglie come supporto destinato all'ampliamento dell'offerta formativa come progetti, acquisto del materiale, attività extracurricolari.
Oggi diventa una sorta di carità che le famiglie decidono di concedere quando propense.
Questo perché non è solo il bagno del piano terra a non funzionare, ma anche la completa struttura gestionale scolastica.
Per dirlo chiaro e tondo: non ci sono soldi.
Destinati alla scuola, ancora di meno.
Il contributo volontario oramai non è più di supporto, ma di totale necessità. Questi soldi, che giungono direttamente dalle tasche delle famiglie di noi studenti, servono a coprire le spese che, se diversamente, nessuno coprirebbe alla scuola.
Non si parla più di attività extracurricolari, progetti o altro, si parla di muri che cadono a pezzi, bagni inaccessibili, riscaldamenti rotti, cavi elettrici scoperti. Si parla di tutto ciò che noi non saremmo portati a pagare, si parla di ciò che la Provincia dovrebbe retribuire.
Ma, ribadisco, non ci sono soldi.
Non ci sono soldi per le nostre decadenti scuole pubbliche. Non ce n'erano anni fa e non ce ne sono ancora adesso nonostante la promessa di ingenti finanziamenti da parte della “Buona Scuola”.
Da questa “rivoluzionaria” riforma nulla è cambiato. Fin tanto che i soldi dei nostri genitori continueranno a pagare ciò che la Provincia dovrebbe pagare, tutto resterà come era. Se la scuola non crolla prima.
Tutto questo è degenerato l'anno scorso, quando su tredicimila studenti solamente seicentosessantasei di questi hanno versato la quota del contributo volontario.
Questo non significa solo riscaldamenti rotti ma anche niente corso AIED per gli studenti del secondo anno, niente professoressa madrelingua inglese, niente attività extracurricolari finanziate dalla scuola, scuola chiusa il pomeriggio e non disponibile nel territorio.
Ad accrescere questo già considerevole disagio è il modo in cui tutto ciò è stato affrontato.
Si è deciso di sensibilizzare e lo si è fatto sotto forma di costrizione.
Adesso il contributo volontario oltre a coprire i soldi della Provincia è anche spergiuro del suo nome.
Non è più una quota facoltativa di supporto alla scuola, è il riscatto da pagare se, perdendo sia corsi extra che interscolastici, non si vuole rinunciare anche ai viaggi di istruzione.
“Niente soldi, niente gite”, ora la chiamano sensibilizzazione.
E' questa maniera di risolvere la questione che dà la perfetta conclusione a quello che ne è stato: una lunga serie di prevaricazione e ipocrisia.
Tuttavia, la questione non si conclude qui.
Il contributo volontario è sì, macchiato ormai di immoralità ma è anche l'unica risorsa di sostentamento che rimane alla nostra scuola.
Se l'Anco Marzio è ancora in piedi gran parte del merito va ai cento euro che noi ogni anno gli versiamo.
Se oltre ad avere un ottimo liceo classico e delle scienze umane dove studiare abbiamo anche una scuola che ci offre corsi, progetti, attività è perché ogni anno la nostra famiglia decide di garantirgli questi soldi.
La questione va oltre principi personali, scuola pubblica o non, va oltre la marginale protesta privata, oltre la piccola dimenticanza.
E' fondamentale necessità di sopravvivenza da parte di una grande scuola che crolla, ormai abbandonata a se stessa.
Il contributo volontario è allo stesso tempo un'amorale estorsione che va oltre i principi della scuola pubblica e un essenziale sostegno che permette la conservazione di uno strenuo liceo e di tutto quello che ha da offrire.
A voi la scelta.
Lea Paiella
